I bambini giocano: non è un passatempo, è la loro attività principale e un modo essenziale per raggiungere le mete evolutive della crescita. Giocando, acquisiscono capacità motorie, cognitive, relazionali. L’agilità e la destrezza dell’adulto sono le eredi delle competenze acquisite nei primi anni, nei giochi di movimento che il bambino ha potuto (o non ha potuto?) attuare. Incastrando mattoncini del Lego, in vista di un risultato che ha già in mente o che si crea man mano, un bimbo impara a costruire strategie per realizzare uno scopo, a perseverare nel suo progetto, a esplorare diverse possibilità.
Due bambini che giocano insieme imparano a negoziare: “Prima facciamo il tuo gioco, poi il mio”. Imparano a prestare attenzione e concentrarsi, a darsi turni, a perdere e a vincere, a tollerare la frustrazione, e anche a godere di essere valorizzato accrescendo la stima di sé. Si misurano in relazioni sociali, sviluppano capacità relazionali e morali. Raccontano a sé stessi la propria vita con i giochi simbolici, quando giocano a “facciamo che io ero…”, ed esplorano così vie per uscire dalle tensioni incontrate, o rinsaldare e celebrare momenti di benessere.
Tutto questo lo fanno anche tra di loro, o con un educatore o un altro adulto.
Alcune funzioni del giocare e del divertirsi insieme però non possono essere sperimentate con altri, che non siano i genitori o le figure di riferimento principale. Questo può suonare strano, o provocatorio davanti ai tanti impegni di un genitore: per cui provo a spiegare.
Il gioco è un’esperienza ad alto contenuto emotivo: giocando i bambini (e gli adulti che lo sanno ancora fare) si divertono, anticipano nella mente situazioni positive, agiscono in libertà, anche se a volte all’interno di regole.
E sono proprio i momenti di benessere che consolidano il legame di attaccamento tra bambino e genitore. L’attaccamento sicuro è quella condizione in cui “io so che posso venire da te ed essere accolto”, ed è la base del benessere psichico e della sicurezza.
Divertirsi con i propri bambini crea piacere condiviso e intimità. Il bambino si “sente visto”, e guarda gli occhi dell’adulto diretti a lui. L’adulto, finché gioca, ha modo di ” sentirsi come” il suo bambino, di sperimentare ciò che il suo bambino prova, di recuperare parti di sé dimenticate, di costruire empatia. Osservare le espressioni, e vivere emozioni simili, gli permette di sintonizzarsi, ed al bambino permette di sentire che questo accade.
Quando, in quella coppia genitore-figlio, ci saranno momenti meno facili (tutti i genitori devono mandare a letto i bambini anche quando loro non vogliono farlo…) si sarà creato uno sfondo di benessere e condivisione, in cui la regola è più tollerabile.
Quindi, malgrado i 1000 impegni di ogni adulto, stare sul tappeto del soggiorno con un bambino di 3 anni, arrampicarsi insieme a uno di 10, o dedicarsi a qualche impresa che piaccia al proprio figlio adolescente…sono tempo ben speso…